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  • Immagine del redattoreFabio Salvati

L’ONESTO FANTASMA - Drammaturgia e regia di Edoardo Erba


Che quello dell’amicizia virile fosse un tema abusato nel racconto teatrale, è cosa risaputa e facilmente verificabile. Si tratta di una leva narrativa buona a spalancare varchi a ogni tipo di ispezioni all’interno dell’animo umano. Basta un pretesto qualsiasi e il contesto amicale si schiude a una varietà di declinazioni lungo il crinale della divisività. Non importa che il tema conteso sia rilevante o meno: Yasmine Reza nella applaudita pièce Art ha dimostrato come sia tutto sommato agevole lasciar esplodere l’ordigno divisivo in mezzo a una cricca di amici (con l’obiettivo beninteso di raccoglierne i frantumi intimi buoni per la storia), persino con la trovata di farli litigare sull’interpretazione di un quadro.

E da lì è facile scivolare dalle parti del genere o meglio della maniera. Ma che succede se il legame amicale rappresentato sulla scena rimane in qualche modo connesso solo dal distacco per morte di uno dei sodali? A diventare protagonista della storia non sarà più il compendio narrativo, più o meno attendibile, che tracima dallo sconnesso sodalizio, ma proprio l’Assenza di quell’Uno.

E’ questa l’indagine in forma di pièce che ci propone il bel lavoro che ha debuttato alla Sala Umberto che si deve alla straordinaria penna di Edoardo Erba, responsabile anche della regia.

Sulla scena tre personaggi maschili, tutti attori, divisi dalla differente fortuna professionale (il destino quando vuole, sa essere uno straordinario scrittore). Uno di loro Gallo (interpretato da Gianmarco Tognazzi) si ostina a non voler tornare a calcare le scene, non solo per via del fatto che il suo notevole successo ha conosciuto le strade dell’audiovisivo, ma proprio perché non riesce ad elaborare la perdita dell’amico Nobru (la commedia è un omaggio all’attore Bruno Armando, scomparso nel marzo del 2020). Gli altri due, Costa (Renato Marchetti) e Tito (Fausto Sciarrappa) si dibattono invece in un presente che ha fiaccato ogni loro velleità artistica, imponendo piuttosto la struttura acida della sopravvivenza. Ma proprio uno di quei due, Costa, quello che non ha più di che pagare neanche l’affitto di casa, ha brigato affinché il fortunato sodalizio di un tempo si ricomponesse sul palcoscenico, pur nella attuale menomazione del più illustre tra loro e lo fa proponendo un testo shakespeariano. Il neghittoso Gallo -troppo affranto e chiuso nel suo dolore solitario, preda urlante del processo di elaborazione per la morte dell'amico- non vorrebbe neanche sentirne parlare.

Ma il progetto sta facendo troppa strada per arrestarlo e nella filiera della elaborazione del lutto forse ci sarebbe posto nel progetto perfino per un ritorno -magari in chiave metafisica- dell'amico scomparso. Ma come? Il soccorso viene dal lampo creativo del disperato Costa: sì, sarà Shakespeare e sarà l'Amleto, con il fantasma di Nobru a interpretare l'ectoplasma del padre di Amleto che appare a tratti alle sentinelle del maniero danese, proprio come nella storia originale.

Ad aiutarlo a superare le resistenze di Gallo sarà proprio una misteriosa telefonata che quest’ultimo riceverà dall'amico defunto (la cui immagine comunque circola ancora tra gli amici e sullo stesso fondale del palco). Un prodigio inesplicabile? Il retaggio di un sogno? Oppure, più prosaicamente l'ingegnoso hackeraggio ideato da un tecnico assoldato da Costa per smuovere le esitazioni dell'amico Gallo?

E' un fatto che la prospettiva del ritorno sulle scene, assieme al “ritorno” dell’amico defunto rinvigorisce i tre amici che si alterneranno sui praticabili in scena a recitare alcune delle parti più significative del capolavoro del Bardo, non per caso quelle in cui i versi lasciano evocare il sommerso fatto di gelosie, rancori, non detti e piccole vendette che più o meno attraversano il filigrana di ogni rapporto umano. E ognuno dei personaggi si ritrova a investigare la propria coscienza, come per una leva irrefrenabile, inseguendo la semantica vindice del fantasma.

La vittoria del teatro sulle maschere della vita e –persino- consolazione ideale sull’ineluttabilità della mortalità umana. La regia di Erba si vale di un comparto attoriale perfettamente affiatato e del disegno luci di David Barittoni, impeccabile nel modulare l’intensità visiva al cospetto dei recitativi dei versi originali di Shakespeare. Perfetta la sottolineatura musicale affidata ai brani originali di Massimo Gagliardi.

Al Teatro Sala Umberto fino al 7 maggio.

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