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  • Immagine del redattoreFabio Salvati

FRAME – adattamento Angela Di Tuccio e Vincenzo Marano – Regia Angela Di Tuccio



Il teatro IVELISE è una realtà culturale romana intitolata alla figura di Ivelise Ghione, sorella della più nota Ileana e come lei figura di rilievo nel panorama teatrale italiano.  

Per fortuna nell’incalzante desertificazione culturale capitolina resistono ancora spazi (si fa per dire, visto che parliamo di un’offerta di una trentina di posti in platea e di un minuscolo palcoscenico) dove è possibile ancora sperimentare.

Ormai in Italia si fa un gran parlare del teatro amatoriale come dell’unica dimensione che alimenta, rinnova e conferisce autenticità a quella espressione artistica. E in questo ristretto spazio si cerca di ospitare, in mezzo a una serie di “eventi” che servono alla sussistenza, esperienze che non trovano affacci altrove, ma che meritano di uscire allo scoperto.

Venerdì scorso su quella minuscola ribalta è andato in scena FRAME, uno spettacolo agito da un gruppo di attori che normalmente si esibisce in ristoranti, salotti casalinghi, o luoghi metateatrali in genere. Non a caso la Compagnia si battezza come SIPARIOINCASA. 

Lo spettacolo si smarca dalle leggi del teatro: non c’è una trama vera e propria, gli attori rompono spesso la quarta parete, brindano con il pubblico a metà spettacolo, lasciano vuoto il palcoscenico (per riordinare, dopo il brindisi), si esibiscono in monologhi, cantano (anche a cappella, bravissimo Antonio Orsini), suonano, regalano un esergo (interminabile, per il vero) in cui cristallizzano d’anticipo i rispettivi standing dei ruoli: c’è un anziano satiro che sfoglia una rivista di nudi, una ragazza vestita di rosso che si intrattiene in leziosi movimenti di braccia lungo il proscenio e la platea, un’altra che consulta un’agendina, un giovane che calza scarpe femminili, porgendo di quando in quando una benda nera all’indirizzo del pubblico, infine una sorta di Diogene che declama brevi epigrammi romaneschi, offrendosi come una sorta di direttore di scena).

Ma l’insieme (fatto salvo il significato di alcune di queste performances d’esordio, che rimane oscuro anche nel prosieguo), appena compreso il gioco, è senz’altro d’effetto, perché tante le invenzioni e ottima la resa attoriale. Dopo un paio di monologhi iniziali –entrambi di bella scrittura e di altrettanta efficacia interpretativa (il primo agito dal bravissimo Vincenzo Marano, che risulta aver collaborato nell’adattamento assieme alla regista Angela Di Tuccio, il secondo da Sabrina Attanasio, dalla splendida presenza scenica e dalle ottime qualità vocali, esibite alternando il proprio monologo con un brano del repertorio di Mina) il gruppo dei cinque attori si produce in un pezzo di commedia, ad esaltare il meglio delle qualità del gruppo. 

Questa Compagnia, infatti, già vista all’opera nella divertentissima e movimentata commedia Cena da Gastreu, ha perfettamente acquisito i registri interpretativi che rendono godibile lo spettacolo, soprattutto nelle veloci sticomitie tipiche della partitura da conflitto. E proprio una lunga, divertente scena di scontro tra fratelli in una ricorrenza festiva è quella che, in questo spettacolo, rinnova la bravura dell’insieme. A seguire, altre performances isolate, interpretate, rispettivamente, da Francesca Consiglio, Sandro Luciani e Antonio Orsini. 

Fortunatamente il quadro d’insieme si ripropone nel finale laddove la vivacità riprende quota attraverso la dialettica tra i vari attori nella scelta dei personaggi da interpretare, quelli che meglio vestono le rispettive caratterialità.

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