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  • Immagine del redattoreFabio Salvati

QUESTA STRANA VOGLIA DI VIVERE di Veronica liberale - Regia di Fabrizio Catarci


Un treno diretto al Nord, nell’Italia di un Miracolo economico distratto e fazioso, due fratelli che –stanchi di aspettarlo, quel miracolo- si apprestano a raggiungere la Svizzera, approdo di uno dei tanti congiunti regalati all’emigrazione. Questo il volano metaforico utilizzato dal delicato copione di Veronica Liberale (anche perfetta attrice, nei panni della protagonista Maria Cristina), messo in scena al Teatro de’ Servi e in concorso alla rassegna Comic off.

Un allestimento semplice, dove campeggia sulla scena la sagoma povera di un vagone di quegli anni, di quelli per i quali era stato coniato il termine specifico di “tradotta”, buono a non lasciare illusioni ai suoi passeggeri sui tempi di percorrenza e sulle condizioni del viaggio. La trama si svolge semplice altrettanto: lungo il tragitto, Maria Cristina, una illibatezza vissuta come una rassegnata maledizione, si imbatte in Gabriele (Alessandro Moser), un misterioso viaggiatore che si gioca tutte le carte della fascinazione culturale con la povera siciliana, tutta chiusa dentro lo sconsolante deserto della propria formazione, ma portatrice di semplici tradizioni che la rendono tenera e profondamente umana agli occhi dello scrittore. Contemporaneamente, perso in altri scompartimenti della medesima tradotta, anche l’ingenuo fratello Salvatore (Guido Goitre) -se possibile ancora più aggravato quanto a formazione rispetto alla sorella maggiore, ma chitarrista talentuoso e fantasioso- incrocia Carla, una giovane romana (Camilla Bianchini) reduce dalla gracile notorietà di un carosello televisivo, che intende raggiungere Torino, laddove sogna si compirà la sua carriera.

Tutto un mondo di illusioni percorre quel convoglio: Maria Cristina e il fratello Salvatore, ciascuno alle prese con il primo palpito di un incontro d’amore, che sembra una promessa di futuro, proprio come l’agognato approdo svizzero. La giovane aspirante attrice Carla, persa nel sogno di un radioso successo, il misterioso scrittore Gabriele, chiuso dentro l’autoreferenzialità della sua erudizione, che distribuisce con colta benevolenza, nella speranza di imbattersi nell’anima semplice capace di curare la sua inquietudine. Sarà per tutti un risveglio amaro, così come accadrà al Paese all’uscita del tunnel fuorviante della stagione del Miracolo economico, come ci ricorda il capotreno (Fabrizio Catarci, che firma anche la regia), in un breve monologo di chiusura, rivelandoci chiaramente l’intenzione allegorica della narrazione.

Il racconto- scortato da una coerente colonna sonora d’epoca (grazie alla consulenza musicale di Pietro De Silva) - si svolge con intensità e naturalezza, tra riflessioni e gustosi momenti comici. Le scene sono di Luciano Nestola, i costumi di Caterina Lambiase.

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