Da ragazzo avevo visto il film Ballando ballando di Ettore Scola: di quel film mi aveva colpito lo spunto narrativo, ci sembrava un grande esercizio artistico riuscire a parlare (senza parlare peraltro..) di storia (lì era quella francese) semplicemente raccontando le varie stagioni di una sala da ballo.
Lo spettacolo di Giancarlo Fares aggiunge qualcosa di più: ci mette la commozione, che non ricordo di aver provato guardando quel film. La commozione non è poi così frequente a teatro: lo è molto di più al cinema, per l’ampia gamma di registri che una scena può convogliare in quella direzione. Nella riduzione teatrale di Le Bal la colonna sonora (la sola a risuonare in quel silenzio denso che si forma nelle sale danzanti) prevede un impiego “proustiano” delle musiche che accompagnano i balli delle varie stagioni storiche. La musica condivisa (non quella ascoltata per conto proprio, come accade nell’ultima scena degli anni Duemila) che sa raccontare meglio delle parole. Le canzoni d’epoca come tante piccole madeleine capaci di evocare emozioni, solitudini, svolte, lacerazioni, partenze e ritorni.
Perfetti nel gestire il piano narrativo tutto simbolico del racconto: senza quel disturbo didascalico che a volte si annida nella rievocazione storica. A parlare di fascismo e di occupanti tedeschi basta infiltrare in balera un danceur in orbace o un livido ufficiale tedesco. A raccontare la solitudine rabbiosa degli anni Settanta un coro di torce (che non riesce ad averla del tutto vinta sul buio di quegli anni…) e per la stucchevole lucentezza della Milano da bere basta uno sperpero di banconote tra i ballerini distratti non più da una pista da ballo, ma da piste di coca. Su tutto, il piacere speciale di musiche perfette, mai fuori tono o forzate.
Veramente un grande spettacolo, premiato da pienoni teatrali in tournee per tutto il 2017 e 2018 (e gratificato dal Premio Persefone). A maggio 2018 tornerà a Roma al Teatro Sala Umberto.
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