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  • Immagine del redattoreFabio Salvati

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO di Oscar Wilde - Regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

Aggiornamento: 22 feb 2019


L'irrisolto dilemma di questa commedia di Oscar Wilde -se “l'Earnest” del titolo originale vada tradotto come “Onesto” o come “Ernesto”- rimane tale anche dopo questo divertente allestimento che ha debuttato ieri sera a teatro sala Umberto (l’elisione grafica del nome, già dal titolo, veicola più di un’allusione al sottotesto dell’opera).

In realtà “tutto è al confine di tutto” in questa brillante pièce, dove l'unica cosa a rimanere indiscutibile è la chiave di lettura: la satira feroce dei costumi vittoriani, quelli capaci di lì a poco di mettere definitivamente all'Indice il genio assoluto di Oscar Wilde, colpevole di averli irrisi quei costumi, introducendo una visione relativistica delle relazioni sociali.

La trama si sviluppa intorno alla vocazione beffarda di due aristocratici sfaccendati, gli amici Algernon e Jack, i quali si confidano vicendevolmente di avere una doppia vita, utile per l’uno a conquistare il cuore delle donne, per l’altro a ritagliarsi una vita di piaceri, fuggendo dalle responsabilità.

La trama si aggroviglia quando –trasferitasi la scena nella residenza di campagna di Jack- entrano in campo due giovani pretendenti al cuore di entrambi gli amici: curiosamente per tutte l’aspirazione è quella di unirsi in matrimonio solo con colui che si chiami Ernesto, un nome che suscita vibrazioni del cuore. Da lì è tutto un susseguirsi di equivoci grotteschi, laddove si esalta la vena caricaturale dell’Autore, con le sue leggendarie battute fulminanti, che con il tempo hanno acquisito la dignità di aforismi indimenticabili.

La commedia mantiene il suo impianto originale con la suddivisione in tre atti, che scorrono via veloci, anche grazie a soluzioni registiche d’effetto e all’intero corpo attoriale che si appoggia a una recitazione al di sopra delle righe, con movimenti di scena al limite della coreografia, per esaltare l’impianto sarcastico della narrazione.

Ciò che rimane è l’inno alla demolizione di ogni visione assolutistica della realtà, l’invito a cercare la sostanza delle cose piuttosto che la loro insegna borghese, così come metaforicamente Shakespeare aveva insegnato qualche secolo prima, rivendicando il primato assoluto dell’essenza delle cose, rispetto al nome con cui decidiamo di definirle. Una rosa è una rosa, comunque la si chiami.

La produzione è del Teatro Elfo Puccini di Milano e sua la Compagnia in scena: Giuseppe Lanino e Riccardo Buffonini a cui sono affidati, rispettivamente, i personaggi di Algernoon e di Jack, il Reverendo Chasuble è Luca Toracca e il bizzarro cameriere è Nicola Stravalaci. I ruoli femminili sono affidati a Elena Russo Arman – che interpreta Gwendolen- e a Camilla Violante Scheller nei panni della giovane Cecily -. A Ida Marinelli viene affidato il ruolo di Lady Bracknell invece a Cinzia Spanò quello di Miss Prism. Le scene e i costumi sono di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli.



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