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Immagine del redattoreFabio Salvati

UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller - Regia Di Enrico Lamanna

Aggiornamento: 2 mar 2018

Regia di Enrico Lamanna


A colpire come prima cosa è la sala stracolma in ogni ordine di posti, con le sedie aggiunte, come accadeva un tempo per gli spettacoli consegnati alla leggenda: la vasta platea di un teatro che si è guadagnato certamente negli ultimi anni la stima e la considerazione generale, ma che rimane pur sempre un lembo della periferia, che si vorrebbe degradata, di questa disgraziata Capitale. E allora ti domandi se a richiamare è soltanto il prestigio del protagonista o c’è dell’altro. La pièce è certamente di quelle che hanno lasciato dietro di sé la scia di una reputazione inossidabile, ma si tratta pur sempre di una tragedia, genere non certo preferito dal pubblico di questi tempi. Allora la conclusione non può essere che una sola: se l’allestimento è di pregio, il pubblico accorre numeroso, esattamente come ai tempi gloriosi del Teatrotenda, magari anche grazie al favore di una intelligente politica dei prezzi, ma qui in periferia, signori, si fanno gli esauriti con le tragedie !



Dunque l’allestimento di questo classico del teatro contemporaneo è certamente di assoluto riguardo, con l’avvio della prima scena che strizza l’occhio ad una contemporaneità del tema, nel flusso metropolitano di un gruppo di figuranti alle prese con una gestualità moderna e con un leggero coro di voci a reclamare l’aspirazione alla cittadinanza americana.

Da lì –sopra una sorta di ring sopraelevato sul palco- parte l’azione, scortata dal contrappunto narrativo di un avvocato che rievoca la vicenda che lì sopra si svolge: il dramma dell’italo-americano Eddie (un grandioso Sebastiano Somma) tormentato dalla passione morbosa verso la nipote Kate, americana per diritto di nascita e moderna per anagrafe e modi di essere.


Un dramma che si compone lentamente, ma che trova sulla strada del racconto più di un annuncio della sua inevitabilità, nel tormento della moglie di Eddie, che assiste impotente alla deriva di quel sentimento innaturale. L’azione principale viene alimentata dall’arrivo di due cugini dalla Sicilia: sono clandestini sbarcati in America, in fuga dalla povertà della loro terra. Di uno di loro –il biondo, stravagante Rodolfo - si innamora la giovane Kate. E’ quello che basta per far scatenare la gelosia inconfessata e inconfessabile di Eddie, che prima tenta la carta della denigrazione del giovane clandestino e poi sceglie la strada crudele, che sarà giudicata infamante da tutta la comunità, della denuncia. Sarà questa scelta (che i due giovani innamorati riescono a fronteggiare con la sanatoria di un matrimonio) ad armare la mano dell’altro clandestino Marco, che, a seguito della denuncia verrà rimpatriato, non prima di aver saldato il conto con la vendetta verso lo sciagurato Eddie, colpevole di non aver colto nella precedente, simbolica, scena del sollevamento della sedia, l’invito a cercare -piuttosto che la dimensione del vigore- quella dell’equilibrio.

Si sente il profumo inconfondibile della tragedia greca in questo allestimento, dove a rimarcare -più ancora della vicenda principale- è il tormento del protagonista, vittima per primo della sua dannata morbosità, con gli altri personaggi intorno a fare il coro, immersi in una sicilianità ostinata, che alla fine ci appare non solo la lingua della nostalgia degli emigranti, ma anche e soprattutto la colonna sonora della tragedia che si va a compiere.


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