In questi tempi così avari di spazi di riflessione, uno spettacolo come quello in scena al Teatro Vittoria -fino al 24 marzo- merita di essere visto (e discusso) senza tentennamenti.
E’ una pièce, ormai celebre, che reca la firma di Stefano Massini e che ha conosciuto già nel 2016 una fortunata riduzione cinematografica, per la regia di Michele Placido e protagonista la splendida Ottavia Piccolo (interprete peraltro nella messa in scena teatrale a opera di Alessandro Gassman).
A cimentarsi con questo testo oggi è Claudio Boccaccini, che guida con grande autorevolezza e misura undici brillanti attrici nel cimento vorticoso di una disputa intorno a un tema che riguarda il loro lavoro: se sia giusto o meno accettare la proposta dei vertici aziendali di tagliare di “soli” sette minuti il tempo della loro pausa, accontentandosi degli otto minuti residui.
La vicenda prende le mosse da un episodio di cronaca accaduto nel 2012 in una fabbrica di filati della Loira. La storia finì sui giornali di tutto il mondo e ha ispirato un drammaturgo di valore come Stefano Massini (poi insignito del premio Tony Award per il Teatro nel 2022) a rintracciarvi materia per una partitura che prende subito il respiro della universalità, posto che il tema sorgivo della difesa dei diritti acquisiti, diventa pretesto per parlare di altro.
E che altro!
All’apertura del sipario, in un ambiente sorvegliato da un orologio, eccessivo nelle proporzioni, ma illogico nella sua perduta motilità (si parla di tempo, signori, ma anche di occhiuta sorveglianza da parte del padronato...e così i simboli sono serviti) dieci donne –operaie e impiegate di un opificio prestigioso- stanno aspettando una loro rappresentante –la decana- convocata dai vertici dell’azienda (i simboli si sprecano: loro saranno semplicemente sempre definiti le cravatte).
Anche le dieci in attesa sono rappresentanti a loro volta: costituiscono tutte insieme il Consiglio di fabbrica e fanno le veci di trecento unità lavorative. L’attesa è snervante e si consegna alle illazioni dell’una, alle angosce dell’altra, ai richiami tranquillizzanti della più esperta tra tutte.
Il colpo d’occhio dello spettatore è attratto non solo dai palpiti incrociati di costoro, ma anche dalla dimensione soggettiva dell’insieme: ci sono straniere, giovani arrabbiate e mature disincantate. E’ quella che diventerà una cifra narrativa del sottotesto.
La paura serpeggia: si teme che loro delegata possa uscire dalla stanza, dove il colloquio si sta protraendo oltre misura, con la notizia di una qualche revisione in perdita delle offerte lavorative. Ma in realtà è solo la paura ad alimentare questa prospettiva: Bianca (la portavoce, interpretata ammirevolmente da Viviana Toniolo), uscendo dalla estenuante seduta, consegna a ciascuna delle palpitanti in attesa una lettera personale con l’invito a esprimere consenso o meno rispetto alla proposta dell’azienda di mantenere intatti gli assetti lavorativi in cambio di quel “trascurabile” taglio ai diritti di pausa dei lavoratori.
Si dovrà votare e in fretta (il tempo viaggia di scorta con i progetti del padrone, come recita sovrano l’emblema di scena che sovrasta tutti…), senza inutili “cincischiamenti” con le riflessioni proposte dalla saggia Bianca.
E qui comincia, a nostro avviso, il volo alto della partitura: gli inviti alla riflessione che partono da Bianca sono nient’altro che la lotta che il pensiero complesso ingaggia con la semplificazione binaria dei nostri tempi. Invece che votare e basta (siglando accetto/rifiuto) senza perdere tempo, come tutte vorrebbero, Bianca intrattiene con le proprie motivate esitazioni e con richiami alla dignità del lavoratore, impegnando perfino i fondamentali della lotta di classe, la dialettica hegeliana servo-padrone (...sono loro che hanno bisogno di noi, non viceversa...), cercando di spegnere le ansie delle sue compagne e di convincerle a respingere una proposta che -dietro la maschera della benevolenza- nasconde la logica inespugnabile del profitto (...vi rendete conto che, se aderiremo alla proposta, ciascuno dei trecento addetti che noi rappresentiamo cederà i propri sette minuti al giorno di pausa? Con il risultato che alla fine avremo regalato all’azienda 900 ore di lavoro gratuitamente!...).
Ma la lotta è impari, perché i nostri tempi non prevedono spiagge libere per le riflessioni: si vota e l’esito è difficilmente contendibile per le pur sensate e convincenti obiezioni di Bianca. Il bisogno di lavoro- per quel parterre spaventato- è uno sfidante troppo forte, capace di condizionare l’esito: la prima votazione finisce con dieci adesioni e una soltanto contraria.
La meccanica a seguire percorre filo filo –quasi come un omaggio- quella dell’indimenticabile pièce di Reginald Rose La parola ai giurati, laddove nel nostro caso sarà la portavoce Bianca a incaricarsi di vestire i panni del famoso giurato Davis (Henry Fonda): con i suoi testardi e sempre più accorati interventi, riesce a guadagnare un pugno di adesioni alla sua opinione.
Ma qui non ci sono pregiudizi o superstizioni da vincere, ma angosce da rimuovere, quelle delle più giovani e delle straniere, quelle per le quali il lavoro rappresenta un irrinunciabile approdo, da proteggere ostinatamente. Anche a costo della dignità o delle conquiste.
Un lavoro che permette semplicemente la sopravvivenza, senza spazio per nient'altro: figuriamoci per la solidarietà, la lotta per i diritti o la condivisione con i simili.
E questo rappresenta l’ulteriore, preziosa materia narrativa sottesa in questo straordinario lavoro, che ci lascia pensare, uscendo dalla sala. E questo non accade così di frequente.
Fabio Salvati
SETTE MINUTI di Stefano Massini
Regia di Claudio Boccaccini
con Viviana Toniolo, Silvia Brogi, Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan, Ashai Lombardo Arop, Maria Lomurno, Daniela Moccia, Sina Sebastiani.
Musiche originali Massimiliano Pace
Scene Eleonora Scarponi
Registi assistenti Fabio Orlandi, Andrea Goracci
Tecnico luci e fonica Francesco Bàrbera
produzione Attori & Tecnici in collaborazione con Associazione Culturale Pex
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