Nelle case non c’è niente di buono, ammoniva tanti anni fa in una sua canzone Giorgio Gaber preconizzando il rischio per l’uomo moderno di rinchiudersi in un microcosmo dal quale non fosse più possibile vedere la vita vera. Fino al rischio di precipitare in una sorta di siccità emotiva.
In questi giorni -a oltre mezzo secolo da quell’ammonimento cantato- il dibattito sull’inaridimento al quale si è condannato il genere umano è stato riproposto dall’uscita dell’ultimo film di Paolo Virzì, che ci lascia riflettere su un rischio che si va inesorabilmente declinando a realtà.
Ci piace pensare che questa divertentissima proposta della Compagnia Tacchi misti, in scena questi giorni al Teatro Belli si collochi proprio nella scia di questo stesso solco di presa d’atto. Si ride, e tanto, si gode della bravura delle quattro attrici, ma alla fine, tra una risata e l’altra, come accade nella migliore tradizione della commedia italiana, si fa largo un piccolo spazio di riflessione.
Sul palcoscenico campeggia una porta di ingresso chiusa, scarno elemento di scena, più che sufficiente (a proposito delle ricadute del concetto di siccità…) a metaforizzare la categoria di quell’“a parte” che –nel vuoto di collegamento ormai assoluto con il mondo di fuori- si viene inesorabilmente a materializzare nei nostri appartamenti, generando comportamenti che troviamo surreali, grotteschi, ridicoli o spassosi, che ci fanno sganasciare, ma che parlano invariabilmente di noi.
Le quattro attrici sulla scena (tutte bravissime, in una sorta di non voluta competizione interna, nella quale paradossalmente, il primato spetta al grande affiatamento che emerge, specie nei pezzi canori) danno vita, in un pugno di schetches, a una dozzina e più di personaggi tutti ruotanti intorno a quello che si impone come il protagonista assoluto della pièce: l’appartamento moderno. Come se questo fosse motore dell’azione, si vanno determinando in quell’orbita situazioni esilaranti o surreali, ma tutte orientate a descrivere quel tanto di alienazione che si respira da quelle (nostre) parti.
C’è la proprietaria che tenta di locare il suo appartamento avvitandosi in una sequenza di indicazioni dell’offerta sfacciatamente contraddittorie, c’è quella che cerca di piazzare un immobile giocando sul prezzo conveniente, dissimulando che la proprietà andrebbe condivisa con un’imbarazzante nucleo di residenti, c’è quella che è innamorata persa dei suoi arredi di casa e li chiama per nome in un delirio fetiscista raccontato alla sua psicologa, c’è quella che improvvisa una sessione di stripchat casalinga, o quella che si lascia andare all’esaltazione presenzialista per via di un collegamento tv per un delitto nel suo condominio. C’è anche un bel momento in una scenetta recitata in cui la protagonista interloquisce in maniera adeguata con la voce registrata di Dio affidata a Francesco Pannofino.
La cifra ironica e grottesca di tutte le scene è sempre convincente perché assolutamente all’altezza è la scrittura di Andrea Lolli e la drammaturgia interna di ogni singola gag, alcune delle quali impreziosite da esibizioni da rivista delle attrici. Inutile dire che tutto è necessariamente declinato al genere femminile, perché dove c’è casa c’è una donna. E l’uomo dov’è? Nascosto in cucina a farsi impagliare in un gioco sexy, nella riedizione ridicola di Lo famo strano di verdoniana memoria.
Un plauso senza riserve all’intero comparto attoriale: Elisa Di Eusanio, Carla Ferraro, Valentina Martino Ghiglia e Silvia Siravo,
ma anche alla regia di Ferdinando Ceriani, ai costumi sempre coerenti di Metella Raboni e alle musiche di Germano Mazzocchetti.
Al Teatro Belli fino al 16 ottobre 2022
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